Il mondo a parte di Buenaventura

Malecon y palafita

Palafitte costeggiano il moderno malecon (lungomare), non ancora terminato, parte del megaprogetto di ampliazione del terminal portuale di Buenaventura (dipartimento di Valle del Cauca). La dimensione di quest’ “opera” è proporzionale alla devastazione ambientale e sociale che ha prodotto e continua a produrre. Migliaia di abitanti (maggiormente afro, ma anche indigeni) sono stati privati delle loro (già misere) abitazioni (viviendas), e resi ancora una volta profughi . Come se non bastassero i paramilitari, la corruzione, la mancanza di lavoro e di acqua potabile, la povertà, l’inesistenza di congrue strutture sanitarie ed educative. Tutti motivi che hanno portato circa 3 mesi fa ad uno sciopero cittadino durato 22 giorni, estremamente partecipato, e naturalmente represso duramente dalle ‘forze dell’ordine’, terminato con un accordo che prevede l’investimento di circa 600 milioni di dollari. Si vedrà se questa volta lo Stato terrà fede ai propri impegni

Espacio Humanitarios

La presenza dei paramilitari in Buonaventura non è mai venuta meno. Molti gruppi in disputa per il territorio che nel tempo hanno cambiato nome, ma non la pratica di terrore, al servizio implicito di chi aveva l’interesse a fare in modo che la popolazione ‘liberasse’ il territorio per poterlo vendere sul mercato (legale e illegale). Nella parte dell’ “isola” di Buenaventura, a ovest sull’oceano, le comunità di desplazados residenti sono riuscite nel 2014 a dichiarare Punta Icaco e Puente Nayero come Spazi Umanitari (Espacios Humanitarios). Due ‘strade’ (ma chiamarle così é un eufemismo) di uno dei quartieri più poveri della città, dove fino a quel momento il controllo paramilitare era asfissiante, il pizzo da pagare per le piccole attività di pesca e del legname era costante ed esorbitante. Dove le persone recalcitranti al controllo venivano letteralmente fatte a pezzi nella ‘ casa de pique‘ (il ‘pique’ è il taglio che il macellaio fa alla carne), quindi gettati nel mare dentro sacchi di plastica). La casa di pique di Puente Nayera è stata buttata giù ed al suo posto è stata costruita un’altra vivienda. La gente ha ripreso a respirare: le difficoltà derivanti dall’abbandono statale continuano ad essere le stesse, ma almeno, in queste due strade, non vengono più terrorizzati ed assassinati.

Desplazados Uanan

La guerra (militare ed economica) continua a far fuggire le persone dai loro luoghi tradizionali. Tra questi ci sono le comunitá indigene (etnia Wounaan) di Chagpien-Tordó, Chagpien-Medio, Durapdur, provenienti dalla zona del Medio San Juan. Sono circa 200 persone ospitate in un palazzetto dello sport di Buenaventura che dal 20 febbraio scorso sopravvivono in condizioni precarie grazie a sporadici aiuti locali, l’interessamento di organismi per i diritti umani (Justicia y Paz) e a un flebile intervento dell’ ACNUR.
In un altro palazzetto dello sport si ritrovano 32 famiglie afro fuggite dalla loro comunitá di Cabezera, nel Litoral San Juan, da pochi mesi a seguito di scontri tra paramilitari, esercito e guerriglia dell’ELN. Hanno notizie che durante la loro assenza le case che hanno abbandonato vengono utilizzate dall’esercito che spesso ruba quello che trova.
Entrambi i gruppi sono intenzionati a ritornare. Mentre gli indigeni Wounaan hanno richiesto accompagnamento per il ritorno, gli afro di Cabezera sono determinati a ritornare anche senza la protezione dell’ ACNUR.
“Senza il calore umano il legno delle case si imputridisce” dice José Wilson Chamarra, secondo Governatore delle comunitá di Chagpien.

foto El mundo aparte de Buenaventura