Bolivador: testimonianze dal Sud del Bolivar

9 ottobre 2003

– Fotografie in ‘Archivio Fotografico 1’

Si potrebbe pensare che vivere in un piccolo villaggio conficcato nel cuore della Serrania di San Lucas, porti con se’ un romantico sapore di liberta’ e serenita’ nei rapporti tra la persone e con la natura. Si potrebbe pensare che la routinaria freddezza della citta’ sia sostituita da una pienezza di giornate vissute in sintonia con se stessi e con il medioambiente. Il villaggio di Bolivador non gode di queste supposte fortune. I trentadue adulti e i ventiquattro bambini che ufficialmente lo compongno delle bellezze naturali, della serenita’,della tranquillita’ delle giornate, della liberta’ – soprattutto di movimento – si vivono l’esatto opposto. Le bellezze naturali, per loro, si trasformano in faticose camminate tra il fango, su e giu’ per le montagne, in un ambiente che a nessuna istituzione, ONG, associazione cooperativa, ecc. interessa assestare un po’. E in quanto alla serenita’, alla tranquillita’ ed alla liberta’ di movimento, la guerra in corso ci mette lo zampino rendendo le giornate, spesso, coperte da un timore generalizzato e costante, tra i grandi ed i piccoli. Gia’ i piccoli ventiquattro che neppure posseggono una scuola, che sono costretti a camminare dalle 4 alle 8 ore al giorno, se vogliono andare e tornare da una scuola – la piu’ vicina, quella di Mina Gallo.

Alcuni racconti di questo piccolissimo villaggio, le cui case sono disperse per valli e montagne, seguono nelle testimonianze di persone che, nonostante tutto, resistono in questo luogo.

Jose’ Uribe.

Sono il presidente dell’associazione di Minatori di Bolivador. Il problema principale, che piu’ ci sta a cuore, riguarda l’educazione dei nostri bambini. Il nostro villaggio conta di 32 adulti e 24 bambini. Le difficolta’ che incontramio riguardo al tema dell’educazione dipendono dal fatto che nel nostro villaggio non esiste nessuna scuola che permetta ai piccoli di studiare. I bambini di qui, se vogliono iniziare il loro ciclo di apprendimento, sono costretti ad andare a Mina Gallo, due ore piu’ meno di strada, per sentieri molto malmessi, in pessimo stato. Le difficolta’ aumentano durante l’inverno, quando la pioggia rende i sentieri ancora peggiori. I bambini, che pure vorrebbero imparare a leggere e scrivere, non possono quindi andare a scuola e la maggiorparte di loro rimane a casa, per via della grande distanza e dei sentieri impraticabili.

Alcuni mesi fa e’ venuta una professoressa che per un piccolo periodo di tempo ci ha aiutato con l’educazione dei bambini. Poi pero’ se ne e’ andata per difficolta’ economiche che noi avevamo per pagarla. In questo periodo anche i bambini piu’ lontani dal villaggio poterono partecipare alle lezioni. Stiamo aspettando che qualche organizzazione o entita’ statale ci aiutino a costruire una scuola per i bambini di questo villaggio.

Tra glialtri problemi, i bambini, per poter arrivare al luogo in cui c’e’ la scuola, si svegliano alle 5 della mattina, preparano le cose che servono loro e quindi, che piova o non piova, devono camminare per diverse ore. Pure con difficolta’ lo fanno volentieri perche’ hanno voglia di imparare. Loro vanno soli, senza che nessuno adulto li accompagni. I bambini hanno un’eta’ che va dai 7 anni ai 12. Ai genitori rimane sempre il timore che possa succedere loro qualcosa lungo il percorso. Se ritardano anche di poco rispetto all’ora solita di rientro, noi grandi pensiamo che sia successo qualcosa di brutto, visto come stanno le cose circa lordine pubblico.Chissa’ cosa puo’ accadere lungo il tragitto con tutto quello che succede qui….. Come padri di famiglia tutti siamo molto preoccupati. Inoltre dato che il percorso che devono fare e’ molto lungo, a volte rimangono feriti a causa di animali che incontrano tornando a casa….

Il problema prncipale che continuiamo ad avere come minatori e’ quello della sicurezza. Non riusciamo a lavorare tranquillamente perche’ non sappiamo se quando torneremo a casa troveremo la famiglia a casa. Oppure perche’ la terra sotto la quale uno sta lavorando,crolla e la persona rimane chiusa nel tunnel. Oppure quando all’uscita del tunnel della sua miniera si ritrova circondato dai soldati dell’esercito. Oppure se viene la guerriglia a parlare con lui. In questa situazione viviamo con un continuo timore. Per quello che mi riguarda, essendo un rappresentante della comunita’, ho spesso bisogno di andare in altre comunita’ o nel capoluogo del municipio, per gestire le tematiche del villaggio. Se mi attardo un po’ di piu’ fuori, quando ritorno la guerriglia pensa male, pensa che sia un informatore. Pero’ anche l’esercito ci tormenta. All’uscita ci peruqisisce, guanda quanti soldi hai, se gli stivali di gomma sono marcati, oppure se hai o no calli nelle mani: tutti segni che implicano, per i soldati, che tu sei un guerrigliero. Per tutto questo ho parua tutte le volte che devo lasciare il villaggio e cosi’ non posso assolvere ai compiti che come presidente mi spetterebbero.

Un altro aspetto disastroso qui a Bolivador e’ l’aspetto sanitario che va molto, molto male.Quando qualcuno si aggrava gravemente, anche se non abbiamo fondi, cerchiamo di aiutarci l’un con l’altro, raccogliendo un po’ di denaro. Poi trasportiamo l’ammalato inamaca fino al capoluogo municipale, affinche’ gli possano fornire l’assistenza necessaria. Qui nella nostra zona non abbiamo nessun ambulatorio e per questo se uno ha bisogno anche solo di una pastiglia per un mal di testa, e’ costretto ada andare in un altro villaggio per comprarla in un negozio, senza nessuno gliela abbia prescritta e senza sapere da dove proviene questa pastiglia. L’esercito non permette che entrino medicine da fuori ed allora la gente cerca la maniera per fare arrivare le medicine prodotte dai laboratori riconosciuti dalla stato nella nostra zona.

Gilberto.

Sono un minatore. Si, e’ vero, a livello lavorativo abbiamo molti problemi, mentre tra di noi, siamo molto cordiali e solidali. Comunque il peggio che succede qui in Bolivador ed in tutto il Sud del Bolivar e nel Paese e’ la guerra. Le cito un esempio, il caso di ieri. Verso le tre del pomeriggio, lungo quel sentiero molto pendente che si vede li davanti (ndr lo indica) 15 o 20 persone adulte con i bambini piccli caricati sulle spalle, mentre il cielo stava per inzupparli di acqua, stavano fuggendo dall’ultimo combattimento avvenuto al mattino nel loro villaggio. Che pena vedere questa gente che e’ costretta a ascappare dalle proprie case…. Colpa della guerra. E noi, qui in Bolivador siamo spettatori di questa guerra. Non abbiamo niente a che veder con essa, ma se i soldati vengono anche qui da noi, pure noi saremo colpiti. Ci confonderanno con la guerriglia ed anche noi patiremo le conseguenze per questo, cosi’ come queste famiglie di profughi ci raccontano. Il combattimento e’ avvenuto vicino ai coampi dove loro hanno piccole coltivazioni. Per non soffrire e per timore di morire, quando arriva l’esercito scappano dalle loro case, lasciando tutte le loro poche cose. Per di piu’ quando ritornano – se possono ritornare – di solito non trovano piu’ nulla: a volte i soldati bruciano le case , in altri casi si rubano le cose e si mangiano gli animali. Quando finalmente la gente torna nelle proprie case sperando che l’esercito se ne sia definitivamente andato, succede che i soldati ritornano e cosi’ la gente e’ costretta a fuggire di nuovo. Questo e’ quello ceh vorremmo superare…