Arauquita, dipartimento di Arauca

27 agosto 2003

[foto in Archivio Fotografico 1]

L’entrata in questo piccolo pueblo, distante una quarantina di chilometri da Saravena e’ slunga e stressante. Una fila non eccesivamente lunga di veicoli aspetta il controllo che l’esercito nazionale compie, in maniera molto accurata, all’ingresso del paese. Anche qui, accampati nelle immediate vicinanze, un battaglione di militari, composto da cinquecento soldati (la popolazione non supera i 3000 abitanti) esegue gli ordini del Maggiore Cortes. Lungo i cento metri che intercorrono dalle taniche utilizzate come blocco stradale al posto di controllo vero e proprio, sulla destra si vedono almeno tre garrotte poste su di un argine costruito artificialmente e che circonda completamente la sede del battaglione. I soldati sono armati e ovunque, lungo l’argine.

Scortato dalla solita accompagnatrice, entriamo nel centro del paese dove il nostro ospite, diciamo Elly, responsabile della fondazione dei Diritti Umani di Arauquita e dirigente locale dell’Associazione Giovanile, ci porta nell’uffico del Personero (autorita’ civile a tutela del rispetto dei diritti umani in Colombia) per formalizzare la nostra presenza in paese, anche se si protrarra’ per una sola giornata. Veniamo rassicurati sul fatto di poter girare tranquillamente per il pueblo (…)

Caminando per la via principale, si scorgono, tra negozi di vestita alimenti e giocattoli, i sldati delle Forze Speciali dell’esercito che, come ben mi ricorda un giovane militare, sono “speciali” peri l fatto che sono addestrate a combatiere all’interno delle citta’ e dei Paesa e, di conseguenza, precisamente li’ si stanziano, dormendo in luoghi precedentemente utilizzati, per esempio, come scuole. Una parte di questi soldati vivono praticamente muro a muro con un pensionato per anziani. Mentre i vecchietti si paisano il tempo chiaccherando e giocando a carte, i soldati, si servono del loro tank di acqua per dissetarsi, cercando di non urtare i nonni con i loro grande fucili mitragliatori.

Mentre l’intero palazzo del Municipio e’ circondato dalla polizia, quest’ultima ne ocupa “solo” una meta’ per i propri agenti, i quali picchettano tutto un lato dell’ edificio, caminando con il fucile in mano e con il dito sul grilletto.

Qui, a differenza di Saravena, molto piu’ grande, la mescolanza tra i civili che tentano di inventarse una vita e i militari che spesso gliela intimoriscono, e’ molto piu’ visibile. I colori delle mimetiche delle forze speciali o gli elmetti verdi della polizia si mischiano agli abiti apeéis nelle bancarelle o ai bambini che vanno a scuola.

Fotografare non e’ facile. La polizia me lo impedisce. Non vuole che reprenda poliziotti, garritte e tutto cio’ che sia connesso con la presenza poliziesca. E questo nonostante abbia passato il solito quarto d’ora nei loro “uffici” per referziarmi e firmare il solito librone in qui scrivono tutto quello che accade, ed avere, infine, sottoscritto di essere girnalista e di assumermi tutte le responsabilita’.

Il poliziotto che mi stava registrando stava seduto sotto un cartello che promuoveva lo sviluppo dei “Diritti Umani in Colombia”. Attaccato allo stesso chiodo penzolavano un manganello ed un paio di guante neri.

Nonostante questo i due giovanni poliziotti mi impediscono di fotografare la loro garritta assieme al Collegio dove esattamente 3 giorni fa e’ stato collocato un camion-bomba (a 10 metri dal loro posto di controllo!!). Scherzano, mi chiedono se non ho paura a restare qui, se non ho gia’ incntrato la guerriglia. Ma di fotografare non se ne parla. Glielo confermano per radio anche i loro superiori.

Assieme ai miei accompagnatri, decido di andare dal Segretario di Governo per avere delucidazioni sul fatto di non poter svolgere la mia attivita’ in citta’. Perquisizioni all’ingresso. Al primo piano, mentre Elly mi presenta il Secretario, Un militare mi si avvicina, porgendomi la mano e presentandosi come il Maggiore Cortes, comandante del battaglione di qui. E’ scortato da cinque soldatini. Molto diplomáticamente, vedendomi arrabbiato chiede che cosa e’ suceso e quando lo apprende dice che sicuramente e’ per motivi di sicurezza che non permettono di fotografare, ma che lui e’ a completa disposizione. Se voglio andare al battaglione, sara’ molto lieto di parlare con me di tutto quello che voglio ed inltre che, da parte sua, non ci sono problemi a fotografare i soldati. Aggiunge che qui in Arauquita, esiste un buonissimo rapporto tra i soldati e la popolazione. Mi cade lo sguardo sulla faccia di Elly il cuis guardo sbigottito vale molto di piu’ di qualsiasi replica.

Quando il Maggiore se ne va la mia accompagnatrice mi dice che un soldado ha appena finito di fotografarci con una piccola fotocamera che ha repentinamente nascosto in una tasca. Mi precipito al’esterno delMunicipio e urlo dietro al Maggiore che stava salendo su una camionetta. Lui dice che non e’ possibile che uno della sua scorta ci abbia fotografato di nascosto, che se vuole avere una fto con me, me lo chiederebbe(…) e che comunque non e’ il caso di “armare” un problema di statu per una cosa cosi’. Allora gli ricordo che “per una cosa cosi’” mlti ci hanno lasciato la pelle, essendo poi statu vittima di attacchi paramilitari, ma lui si difunde dicendo che quella e’ la sua scorta personale. Il giovane soldato implicato, che non ho mai smesso di guardare in faccia, debolmente estrae da un paio di tasche, a sua disculpa, un fazzletto ed una agendina. Ma non mette la mano nella tasca del pantalone dove e’ statu visto riporre la fotocamera. Il Maggiore ci invita a perquisirlo, in maniera gentile, ma provocatoria. Ovviamente non lo facciamo, ma ci salutiamo ritenendolo responsabile di cio’ che ci potra’ accadere.

Chissa’ se al rientro nella brigada ha sgridato il suo uomo perche’ troppo stupido nel farsi beccare…..

Decidiamo comunque di anticipare il rientro. Comunque rifacciamo un giro per il centro per fotografare quel che il Maggiore ci ha “concesso” di fotografare.

Pranzando in un ristorante, e chiaccherando con il prprietario, scopro ancora di piu’ tutta la paura che parazlizza la popolazione di Arauquita. L’esempio che il padrone mi fa per spiegare la loro condizione di civili e’ il seguente: “siamo come la carne di un panino, tra le due fette di pane, che aspetta di essere divorata”. Lui e’ il rappresentatne del barrio e racconto di come, alcune settimane fa, durante un incontro con l’Esercito la Polizia e i rappresentanti del Municipio lui ed altri cittadinisi son lamentati duramente chiedendosi come mai in mezzo a tanto spiegamento di militari e forze dell’ordine, sia possibile che vengano comiuti attentati con auto-bomba in pieno centro. E perche’ di questo poi vengano fatte pagare le conseguenze ai civili. Il penultimo episodio ha visto una auto-bomba restare 5 giorni in strada senza che nessuno venisse a disinnescarla, fino a quando, un giovane di 17 anni, avvicinandosi e toccandla, l’ha fatta esplodere. Lui e’ morto mentre il suo amico si e’ solo ferito. A queste cose i militari, dice, rispondevano che e’ compito dei cittaddini di Arauquita denunciare, che non lo fanno abbastanza….

Qui la gente parla molto poco fuori di casa. Si aggira circopetta lungo il fiume Arauca che separa la Colombia dal Venezuela. Da questa parte si vedono le lance che approdano ad un imbarco situato sull’altra sponda, dove unagrande bandiera venezuelana annuncia il posto di Dogano. La paura e la pressione son molto forti. Pero’ all’interno delle case le persone,mi raccontano, parlano di piu’ e si lamentano della presenza dei militari, dicendo che da quando sono arrivatI (circa un anno fa) le cose sono di molto peggiorate. Un gruppo digiovani, quelli dell’associazione di Elly pero’ continua nelle sue attivita’ sia culturali che politiche, oltre che di denuncia degli abusi sulla popolñazione civile. Elly e’ molto orgoglioso nel mostrarci un laboratorio per intagliare il legno, dietro la casa di un pittore locale, utilizzato da una decina di giovani del paese.

Mentre ci salutiamo il ristoratore ci dice che tutti coloro che stanno cercando di far prendere maggiormente coscienza alla gente e che si espongono in prima persona per i diritti umani – e lo dice indicando Elly – “hanno una canna di fucile puntata alla fronte”.