LA GUERRA DI URIBE
logo manifesto mercoledì 5 marzo 2008
di Roberto Zanini

La vuole morta, Ingrid Betancourt. Ma soprattutto vuole che la guerra sopravviva, si moltiplichi, alimenti il circolo vizioso del sangue travestito da politica, il domino degli schieramenti diplomatici e degli aiuti incrociati (tutti quei dollari contro il narcotraffico finiti in tasche paramilitari…), la distribuzione di certificati di iscrizione a quel fantastico grimaldello delle democrazie detto «lotta al terrore».
Alvaro Uribe è il presidente della Colombia, un paese in guerra da quanto? trentacinque, quarant’anni, e domani saranno quarant’anni e un giorno, e poi un altro e un altro ancora. La Colombia è in guerra con se stessa e domani potrebbe esserlo con i suoi vicini, già si mobilitano battaglioni lungo i confini, a nord con il Venezuela di Chavez, a sud con l’Ecuador di Correa sorvolato e bombardato per colpire a morte Raul Reyes, l’uomo della guerriglia che trattava, quello con cui persino la Francia – non lo spericolato Chavez ma Kouchner – aveva aperto trattative, l’uomo che si nascondeva di meno e dialogava di più.


«Genocidio», Uribe accusa Chavez
Dopo l’uccisione di Raul Reyes, il leader colombiano attacca: «Voglio il Venezuela al Tribunale penale internazionale». Le «prove» dei finanziamenti alla guerriglia nel computer di Reyes. I «complimenti» di George W. Bush
di Guido Piccoli

Dagli insulti si è passati alle accuse formali. Anche se il passo successivo – alle armi – non sembra ancora probabile, la tensione tra la Colombia e i suoi vicini Ecuador e Venezuela s’infiamma di ora in ora. Dopo aver vissuto un isolamento pesante nel continente latinoamericano, Alvaro Uribe ha ricevuto i complimenti del suo sponsor George Bush, per l’impresa militare che sabato scorso ha ucciso Raúl Reyes e una ventina di guerriglieri delle Farc in territorio ecuadoriano. Ed è passato al contrattacco, forte di un appoggio che gli è arrivato anche dal Polo Democratico Alternativo (che non ha trovato di meglio che accusare Chávez di aver mancato di rispetto a Uribe) e di un’opinione pubblica ammaestrata dai media allineati come mai è successo in questi anni.